La politica è necessariamente tragica. Di più, la politica lascia perennemente insoddisfatti! E non c’entrano i nostri politici o la loro reputazione offuscata da teatrini, figuracce e personaggi improbabili.
Sono proprio le scelte che la politica impone a essere difficili. Perché c’è da mettere d’accordo tanta gente. E perché ognuno di noi non è perfettamente d’accordo con se stesso.
In bilico tra interesse individuale, bene comune e morale
Tre sono le dimensioni chiave, e sono in conflitto tra loro. Interesse individuale: quanto guadagniamo personalmente da una decisione? Il bene comune: cosa beneficia di più la nostra società? E la morale: che cosa è giusto fare? In ogni circostanza, in ogni azione, in ogni scelta questi elementi spingono in direzioni opposte. Qualunque decisione prendiamo, si perde qualcosa.
Pensate a Cesare: ha invaso la Gallia, ucciso un terzo del suo popolo e schiavizzato donne e bambini. Lui ci ha guadagnato, ha ottenuto ricchezze e la lealtà cieca dei suoi legionari. I Romani ci hanno guadagnato, estendendo l’impero e la sua potenza. Ma ciò che ha fatto è stato giusto?
O immaginatevi Roosevelt, con un’America che non vuole andare in guerra contro i nazisti. Forse gli Stati Uniti sarebbero stati meglio in pace, senza perdere 400 mila vite. Però dall’altra parte c’era Hitler. Che fare?
Oppure, per tornare alla storia recente, pensate ad una pandemia. Cosa si deve privilegiare, la salute da proteggere coi lockdown o l’economia che viene rovinata dalle chiusure?
È evidente che bilanciare interessi individuali, bene comune e morale è complicato. Anzi, è anche più complicato di così, perché ognuna di queste tre dimensioni presenta numerosi conflitti al proprio interno.
Altro esempio: Abramo Lincoln vuol far passare la legge contro la schiavitù al Congresso. I voti non ci sono. Che fa? Ne compra alcuni – violando un principio democratico basilare – o lascia correre e si tiene la schiavitù? Che cosa è moralmente giusto fare in questo caso?
Torniamo a Cesare. Gli conveniva davvero varcare il Rubicone con le sue legioni? A Roma rimaneva asserragliato Pompeo, pronto a dichiararlo nemico pubblico e a opporsi a lui con la forza. Certo, Cesare divenne dittatore a vita e aprì la strada all’impero. Ma soltanto dopo una sanguinosa guerra civile. E poco dopo morì accoltellato da uno dei suoi più cari amici, Bruto. Fu veramente nell’interesse di Cesare varcare il Rubicone?
Qual era invece il bene comune di Roma e dei suoi abitanti? Rimanere una repubblica, diremmo dalla nostra prospettiva contemporanea. Ma l’antico ordine repubblicano faticava da tempo a gestire i vasti territori conquistati dalle legioni. Forse l’impero era l’unico modo per mantenere Roma unita.
Questi dilemmi non si possono risolvere, ma spesso il problema è che non sono nemmeno percepiti. Pensiamo spesso ci siano soluzioni facili e ovvie: le nostre. E che ci siano soluzioni palesemente sbagliate: quelle degli altri. La complessità del mondo (e un sempre comune egocentrismo) nascondono queste linee di conflitto. La filosofia politica prova a illuminarle , ma è spesso troppo astratta per farne esperire appieno le conseguenze.
Un gioco da tavola per capire la fatica della politica
È qui che entra in gioco King’s Dilemma, un gioco da tavola ideato da Lorenzo Silva e Hjalmar Hach, di cui mi sono occupato di scrivere la storia. Qui ogni giocatore deve soppesare interesse individuale, bene comune e morale. I giocatori siedono nel consiglio reale e devono bilanciare ciò che pensano sia giusto con gli interessi della loro casata e il bene comune del regno. Attraverso negoziati e tradimenti, le decisioni prese da ognuno dei partecipanti plasmeranno il futuro del regno. Le loro conseguenze ricorderanno ricorrentemente ai giocatori i compromessi che sono stati costretti a fare, o quelli che non sono riusciti a ottenere. Con gli altri giocatori, sì, ma soprattutto con sé stessi.
La complessità non finisce qui. Perché ognuno di noi prende le sue scelte prigioniero della propria prospettiva e le conseguenze ricadono sempre sugli altri, sui nostri figli e sui figli dei nostri figli. In King’s Dilemma no. Perché ogni giocatore interpreterà – in partite diverse – sé stesso, suo figlio e il figlio di suo figlio, cioè l’esponente della sua casata generazione dopo generazione. Così facendo, i padri capiranno il costo che impongono ai figli, e i figli comprenderanno le motivazioni che guidavano i padri.
Regole semplici per un’esperienza complessa
In questo senso King’s Dilemma è un’esperienza unica, un gioco speciale che solo l’ingegno di Lorenzo e Hjalmar poteva racchiudere in un sistema di regole semplici.