- Link all’articolo scientifico: J. Garland (2023) Iconoclash and the climate movement, Visual Studies.
Lanciare vernice e cibo su opere d'arte preziose nelle gallerie britanniche ed europee. È la nuova forma di protesta scelta dai gruppi di più recente formazione all’interno del movimento per il clima. Azioni che hanno il potenziale di sorprendere: per il loro forte impatto visivo e perché sembrano distruggere l’arte. Come reagiscono i cittadini a queste proteste? Quanto sono efficaci nel sensibilizzarli riguardo ai cambiamenti climatici e nello spingerli ad arginarne gli effetti modificando le proprie abitudini?
Proteste “artistiche” per il clima
Le nuove tattiche di protesta si concentrano su azioni dirette, distruttive e accattivanti. Sono state messe in atto da gruppi “radicali” nati da poco, all’interno del movimento per il clima a partire dal 2022, per lo più con base nel Regno Unito. Just Stop Oil (JSO) ne è un esempio. Altri gruppi includono Letzte Generation in Germania e Austria e Ultima Generazione in Italia; quest'ultimo noto per aver reso nera, nel 2023, l'acqua della fontana di Trevi a Roma con una sostanza simile al petrolio.
Questi gruppi chiedono di mettere fine alla produzione di combustibili fossili per l’incombere della minaccia di estinzione umana causata dai cambiamenti climatici antropogenici. In più – ed è la caratteristica che li contraddistingue – avanzano le loro richieste con azioni dirette nelle istituzioni culturali, in particolare nelle gallerie d'arte del Regno Unito e dell'Europa continentale. Esempi chiave di queste azioni provocatorie sono nell'ottobre 2022 il lancio da parte di attivisti di JSO di prodotti alimentari su “I Girasoli” di Van Gogh nella National Gallery di Londra; analogo gesto in Germania nello nello stesso mese contro “Le Ninfee” di Monet da parte di attivisti di Letzte Generation e un mese dopo, in Austria il lancio – da parte di membri dello stesso gruppo – di vernice nera su “La morte e la vita” di Klimt. Questi gruppi attuano anche altri tipi di protesta – vedi la lenta camminata del traffico di JSO a Londra – ma sono le azioni che coinvolgono opere d’arte nelle gallerie a suscitare maggiori interrogativi sulla loro efficacia nel sensibilizzare e motivare gli spettatori rispetto alla crisi climatica in corso.
Le domande ruotano quindi attorno all’immagine in una duplice accezione: da un lato l’opera d’arte utilizzata come oggetto di scena nell’evento di protesta; dall'altro le fotografie degli eventi, che sono il mezzo principale per far sapere che sta succedendo qualcosa e per raccontare il contenuto dell’azione. Ma come si può inquadrare al meglio tutto ciò?
Immagini di protesta
Diversi studi mettono in luce il potere delle immagini come mezzo comunicativo e quanto l’immaginario di protesta possa essere divisivo.
È facile intuire che le immagini – fotografie e illustrazioni comprese – sono emotivamente evocative e utili per costruire un’identità, per mobilitare, per protestare sebbene si prestino a diverse interpretazioni a seconda del pubblico. Nello specifico le immagini di protesta vengono percepite per lo più in modo negativo da coloro che non simpatizzano o non sono coinvolti nella protesta in questione. In altre parole, il modo in cui l’immagine di una protesta viene recepita è generalmente basato sulle attitudini preesistenti verso la protesta. Cosa implica tutto questo, se vogliamo capire la reazione alle recenti proteste sul clima?
Si potrebbe pensare che le immagini di queste proteste nelle gallerie d'arte – come per le immagini di protesta in generale – siano percepite negativamente da coloro che non simpatizzano con il focus della manifestazione o che non gradiscono le proteste in generale. Altri più simpatizzanti, o che non provano una simile avversione, potrebbero invece essere più aperti a queste immagini e nel complesso più positivi. Tutto questo, tuttavia, non basta; c’è qualcosa in più in queste proteste nelle gallerie d’arte che merita un surplus d’indagine: l'uso dell'arte e di come viene rappresentata la sua distruzione. Fatta salva l’importanza degli atteggiamenti preesistenti nei confronti della protesta o dei livelli di simpatia nei confronti dei messaggi sul clima, occorre applicare una lente interpretativa migliore su questi eventi e sul modo in cui vengono compresi. Il concetto che può far luce sulle dinamiche coinvolte nel rapporto tra la protesta per il clima nelle gallerie d’arte e le reazioni rilevanti degli spettatori è quello che il sociologo e antropologo francese Bruno Latour chiama “iconoclash”.
L’iconoclash
In un lavoro del 2002 Latour definisce iconoclash una situazione in cui “non si sa, si esita, si è turbati da un’azione per la quale non c'è modo di sapere, senza ulteriori indagini, se sia distruttiva o costruttiva”. L'esempio di Latour riguardava un’immagine di persone che brandivano asce contro il reliquiario che custodiva la Sindone di Torino. Da una prospettiva, l’immagine mostra vandali che cercano di rubare o distruggere la Sindone. Da un’altra, si tratta di personale dei vigili del fuoco che cerca di salvare l’artefatto da un incendio. Questa idea cattura quindi l’incertezza che le immagini di distruzione producono (e le conseguenze che questa ha sulla reazione delle persone).
Le recenti proteste sul clima rappresentano bene la situazione appena descritta. In particolare, l'iconoclash offre una chiave di lettura per quantificare il danno visivo che gli attivisti sembrano arrecare alle opere d'arte prese di mira, anche se non viene causato alcun danno fisico alle tele. Immagini forti, sorprendenti, di attacchi all’arte generano incertezza in chi le riceve. In primo luogo incertezza riguardo al danno effettivamente causato (come sembrano mostrare le fotografie delle azioni). In secondo luogo, incertezza sulla sua utilità: la protesta che prende di mira gli artefatti culturali in questo modo è d’aiuto o d’ostacolo al movimento per il clima in generale e ai suoi messaggi? Sono azioni distruttive o costruttive? C’è tensione tra l'aspetto visivo – chiaro – della distruzione e la sua assenza fisica, poiché le opere d'arte sono protette da schermi.
Sorgono anche domande riguardo all'aspetto costruttivo di queste proteste. Di sicuro vengono prodotte immagini di queste proteste innovative e così la consapevolezza di queste azioni dimostrative viene diffusa. Ma questo aiuta a sensibilizzare riguardo al clima? E – soprattutto – induce cambiamenti nei comportamenti o nelle abitudini in accordo con le preoccupazioni degli attivisti? Le incertezze prodotte dalle proteste – lette alla luce dell’iconoclash – suggeriscono di no. Queste azioni rischiano di generare un dibattito sulla loro accettabilità generale, considerato che coinvolgono opere d'arte di valore, e sulla loro utilità per la comunicazione sul clima a scapito della diffusione di un maggiore impegno nei confronti della crisi climatica. Creano, certo, immagini di grande impatto visivo, che catturano l'attenzione del pubblico, ma rischiano di indirizzare quella stessa attenzione sul tema dell'accettabilità e uso di questa nuova tattica di protesta, senza coinvolgere gli spettatori sulle questioni legate al degrado ambientale e climatico – come era invece nelle intenzioni originarie degli attivisti.
Nuova protesta per il clima: parlare del clima o parlare di altro?
Il concetto di iconoclash di Latour consente di cogliere la tensione tra un atto di distruzione, senza alcun danno alle opere d'arte, e l'indeterminatezza che deriva da non riuscire a stabilire immediatamente “se l’atto sia distruttivo o costruttivo”.Questa tensione visiva, catturata dall'iconoclash, suggerisce che il messaggio sul clima, originariamente associato a queste azioni spettacolari ed eclatanti potrebbe andare perduto, poiché emergono domande, dubbi e dibattiti sull’opportunità di prendere di mira opere d'arte con vernice e altri oggetti. L'attenzione finisce per concentrarsi sulle tattiche di protesta anziché sulle sfide climatiche a cui le azioni miravano. Si indica la luna ma tanti vedono solo il dito (e a molti non piace).
In breve, sebbene questi atti di protesta siano audaci e sorprendenti, gli attivisti ambientalisti dovrebbero mostrare maggiore cautela nel promuoverli per non allontanare coloro che altrimenti simpatizzerebbero con la loro causa.