Link articolo scientifico: https://www.centroeinaudi.it/images/abook_file/BDL_2022_01_Icardi.pdf
Fissare un tetto alla ricchezza individuale. Una proposta provocatoria, per alcuni, per altri l’unica via da intraprendere in società davvero democratiche. È quanto suggerisce la corrente filosofica del “limitarianesimo”, con non poche problematiche e altrettante ragioni. Eccone alcune.
L’aumento esponenziale della ricchezza di alcune persone, negli ultimi anni non è certo passato inosservato. Si pensi alla rapida ascesa di Elon Musk che, secondo le stime della celebre rivista Forbes, nel 2022 avrebbe accumulato un patrimonio di 219 miliardi di dollari, 68 miliardi in più di quello già molto cospicuo del 2021. Alla crescita spropositata dei patrimoni di pochi corrisponde un malcontento condiviso dai più nei confronti delle democrazie. Coloro che non appartengono all’élite economica, infatti, hanno spesso l’impressione che la loro opinione valga ben poco in confronto a quella dei loro concittadini plurimiliardari.
D’altro canto, l’ipotesi di fissare un tetto alla ricchezza dei singoli incontra una certa resistenza, radicata nell’idea che i più ricchi si siano guadagnati la loro ricchezza partecipando a un gioco di mercato aperto a tutti e tutte, che si limita a premiare i più meritevoli. Non solo: a rafforzare l’ostilità verso la possibilità di limitare la ricchezza individuale si aggiunge l’idea che controllare quest’ultima produrrebbe effetti indesiderati sulla ricchezza complessiva. I ricchi sarebbero disincentivati dal produrre ulteriore ricchezza – chi sarebbe disposto a lavorare ore extra per un guadagno pari a zero o a restituire tutto il compenso ottenuto in tasse? – quindi anche la quantità di risorse disponibile diminuirebbe.
Non più di ciò che serve per una piena fioritura umana
Contro questo sentire comune, si fa strada il limitarianesimo (dall’inglese limitarianism). Una teoria recente, introdotta da Ingrid Robeyns, a favore della possibilità di fissare un tetto alla ricchezza individuale, per esempio, implementando un’aliquota marginale massima del 100% al di sopra di una data soglia. In una società democratica, in cui tutti e tutte dovrebbero avere pari opportunità di influenzare la politica, non è accettabile che alcune persone godano al contrario di opportunità di gran lunga maggiori di tutti gli altri grazie alle proprie disponibilità economiche. Se si vuole preservare l’ideale democratico di eguaglianza, nessun cittadino o cittadina dovrebbe posizionarsi al di sopra di una certa soglia di ricchezza.
Questa soglia, secondo Robeyns, dovrebbe essere fissata laddove gli individui raggiungono la loro piena fioritura. Ovvero, laddove la collettività ritiene che i singoli possiedano abbastanza risorse per realizzarsi appieno e tutto ciò che potrebbero desiderare in più sia qualcosa a cui potrebbero rinunciare senza sacrificare parte della propria realizzazione personale. Non potersi permettere un jet privato, per esempio, non comprometterebbe la possibilità del singolo di fiorire come persona. Le risorse necessarie a comprarsi tale jet, perciò, sarebbero da considerarsi in eccesso: un surplus di cui si può fare a meno e che potrebbe quindi essere tassato in modo cospicuo.
Questo surplus sarebbe da tassare non tanto perché la ricchezza individuale al di sopra di una certa soglia sia sbagliata in sé, quanto perché essa minaccia altri valori, quale quello democratico di eguaglianza. Superare una certa soglia di ricchezza non andrebbe impedito perché la ricchezza è immorale, ma perché essa conferisce vantaggi che compromettono il processo democratico, creando insostenibili asimmetrie di potere tra cittadini e cittadine, dietro il velo illusorio dell’eguaglianza formale.
Una soglia sì, ma quale
A questo punto, però, sorgono due possibili obiezioni.
In primo luogo, in una società pluralistica come quella a cui siamo abituati – cioè una società in cui le persone perseguono diversi (spesso inconciliabili) ideali di realizzazione personale – è difficile determinare cosa s’intenda per piena fioritura umana e, di conseguenza, distinguere tra risorse necessarie per realizzarla e risorse in eccesso. Alcune persone potrebbero accontentarsi di un’auto qualunque, mentre altre non si sentirebbero realizzate senza potersi permettere un’auto di lusso.
Una prima risposta a questa obiezione è che si sta parlando di limitare la ricchezza dei super-ricchi, ovvero di quelle persone che di auto di lusso potrebbero comprarsene a dozzine. Di chi, come il patron di Amazon Jeff Bezos o l'amministratore delegato di Meta Mark Zuckerberg, può permettersi non solo di comprare un jet privato, ma anche di usarlo regolarmente per volare nella tenuta di proprietà alle Hawaii. Così il confine tra risorse necessarie a una completa realizzazione umana e risorse in eccesso appare più facile da delineare.
Inoltre non si sta parlando di un confine oggettivo e invariabile, ma di un confine stabilito dalla collettività. Come collettivamente ci si può accordare sul fatto che possedere meno di una certa quantità di risorse significhi non avere abbastanza, così ci si potrebbe accordare sul fatto che avere più di una certa quantità di ricchezza corrisponde ad avere troppo.
Questa soluzione, tuttavia, apre la porta a una seconda obiezione. Anche se si trovasse un accordo su quando la ricchezza sia da considerarsi in eccesso, fissare la soglia laddove le persone raggiungono la loro piena fioritura potrebbe rivelarsi inefficace ai fini di preservare l’ideale democratico di eguaglianza. Per alcune persone, infatti, potrebbe essere più importante influenzare l’andamento della politica che realizzarsi pienamente. Altri potrebbero addirittura considerare il potere politico come parte di questa realizzazione e decidere di investire il proprio denaro (anche al di sotto della soglia) per acquisirne. In altre parole, nulla al di sotto della soglia impedirebbe ai più ricchi di “finanziare” il processo politico. Si giunge così a un’impasse: un tetto alla ricchezza individuale dovrebbe essere fissato per preservare la democrazia, ma formulato in questo modo il tetto rischia di mancare il suo scopo, giacché al di sotto della soglia le persone più abbienti godrebbero comunque di maggiori opportunità di influenzare le decisioni politiche grazie alla propria disponibilità economica.
Una soluzione possibile: non più di n volte la ricchezza mediana
Per rispondere a questa seconda obiezione non resta che modificare la soglia della ricchezza.
Al posto di fissare il tetto laddove le persone raggiungerebbero la loro piena fioritura, andrebbe fissato laddove la ricchezza individuale minaccia effettivamente l’ideale democratico di eguaglianza. Si potrebbe calcolare la soglia in relazione alla ricchezza mediana, cioè la linea di ricchezza al di sotto della quale ricade il 50 per cento degli individui all’interno di una società. Ciò che minaccia l’ideale democratico di eguaglianza, infatti, non è tanto che alcune persone possiedano più risorse di quelle necessarie per realizzarsi appieno, quanto che poche persone possiedono molta più ricchezza dei propri concittadini e concittadine, e questo permette loro di condizionare la politica in modo sostanziale. Si potrebbe quindi decidere che in una democrazia che funzioni nessuno dovrebbe avere, per esempio, più di 100 volte la ricchezza mediana.
In Italia – dove nel 2016 la ricchezza mediana era 132.266€ – significherebbe fissare la soglia intorno a 13 milioni di euro. Se si considera che le persone milionarie nel 2020 si aggiravano intorno al 3 per cento della popolazione italiana, l’aliquota marginale massima del 100% sul patrimonio si applicherebbe a una piccola percentuale di individui. Tuttavia, ciò non rappresenta un limite per questa versione del limitarianesimo poiché quello che si vuole evitare è che un’élite possieda così tante risorse da poter giocare un ruolo determinante nel processo democratico.