Link all'articolo scientifico:
- Ceron M., Palermo C. M and Salpietro V. (2020) Limiti e prospettive della gestione europea durante la pandemia da Covid. Biblioteca Della Liberta, 55(228).
Il Covid – 19 ci ha colti di sorpresa. Eravamo impreparati, sia a livello nazionale che sovranazionale: l’Unione europea era sprovvista di strumenti per un efficace coordinamento e una risposta comune, in ambito sanitario come in quello fiscale. ll progresso verso misure di emergenza comuni è avvenuto con tempi più rapidi rispetto a quanto successo nella crisi dell’Eurozona, ma è stato comunque lento e divisivo. La prima risposta alla pandemia è stata nazionale e eterogenea, e ha amplificato il divario tra centro e periferia.
L’emergenza sanitaria è stata più acuta proprio dove le economie erano più fragili, così – in assenza di efficaci misure correttive da parte dell’Unione – le divergenze tra centro e periferia dell’Europa sono aumentate. Misure quali Sure – il programma europeo per la cassa integrazione che prevede 100 miliardi di prestiti a tassi bassi per i paesi membri, 27 e rotti dei quali destinati all’Italia – e Next Generation Eu – il piano per la ripresa dell’Europa da 750 miliardi di euro – sono straordinarie, ma temporanee. Non sono quella riforma strutturale (e permanente) della governance che fornirebbe all’Unione gli strumenti per affrontare la ripresa e la ricostruzione.
La (timida) risposta comune nella fase iniziale
All'interno della governance europea, allo scoppio della pandemia i meccanismi di gestione della crisi erano limitati se non assenti: salute e fiscalità sono competenze strettamente custodite nelle mani degli Stati membri a livello nazionale. Il coordinamento in materia di salute pubblica è apparso immediatamente come una sfida chiave. L’approvvigionamento di mascherine, guanti e altri dispositivi di protezione individuale ha scatenato tentativi (fallimentari) di manovre nazionalistiche che hanno richiesto l’intervento degli organismi sovranazionali anche solo per garantire il rispetto di principi e regole del mercato unico. Lo stesso è accaduto, in parte, in ambito fiscale. Per sua natura l’Unione economica e monetaria europea (Uem) accentra la politica monetaria decentrando a livello nazionale quelle fiscali, seppur nei limiti strutturali del patto di stabilità e crescita (Psc).
Sul fronte fiscale, quindi, la risposta nelle prime fasi non poteva che venire dagli Stati membri. Nel mentre però, i meccanismi comuni al cuore dell'integrazione europea – le regole per gli aiuti di Stato e il Patto di stabilità – sono stati temporaneamente sospesi per allentare le “catene” ai bilanci nazionali. Dal contenuto e rigido bilancio dell’Unione è arrivato un contributo limitato, tramite un parziale riposizionamento di risorse esistenti come per esempio quelle previste per i fondi strutturali. L’unica istituzione sovranazionale pronta ad agire rapidamente nelle fasi iniziali è stata, come in passato, la Banca centrale europea, intervenuta con un scudo protettivo iniziale di 750 miliardi, poi ulteriormente esteso.
Le negoziazioni per misure fiscali comuni hanno richiesto mesi, mostrando divisioni a tratti apparentemente insormontabili. Al centro del dibattito c’era la divisione tra i paesi “frugali” – Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Austria (e in un secondo momento anche la Finlandia) – capeggiati dall’Olanda e scettici nei confronti di qualsiasi forma di solidarietà ma favorevoli al Mes, e un fronte di otto Paesi – tra cui non solo quelli del Sud Europa ma anche Germania e Francia – che proponevano un debito comune per finanziare la ripresa e sostenere i membri più colpiti. Mentre la pandemia avanzava, la prima misura davvero innovativa – Sure, per la cassa integrazione europea – veniva approvata solo a maggio 2020 inoltrato, diventando operativa solo a fine estate. Gli Stati membri hanno pertanto reagito in ordine sparso alla crisi Covid, e le differenze nella tra loro nella capacità di affrontare la sfida sanitaria ed economica del virus sono andate sempre più crescendo.
Risposte nazionali eterogenee
In assenza di una risposta fiscale coordinata, il sostegno all’economia nelle prime fasi è rimasto in capo agli Stati, con performance diverse in termini assoluti, anche per l’esistenza di curve epidemiche e relative misure restrittive differenti.
l confronto fra quattro stati chiave – Francia, Germania, Italia e Spagna – è eloquente, sia che si esamini le scelte per il contenimento della pandemia o la diversa risposta fiscale dei governi.
Con riferimento alla risposta fiscale i paesi più colpiti dalla pandemia, e fra questi certamente almeno nella prima ondata Italia e Spagna, sono lontani dai primi posti della classifica (per ambizione) dei loro “pacchetti anticrisi”: la Germania, proporzionalmente il paese con i risultati sanitari più confortanti, senza dubbio sovrasta tutti gli altri Paesi. La Francia si aggiudica il secondo posto, gli hotspot iniziali del virus – Italia e Spagna – gli ultimi. I paesi del Sud, con il pesante lascito della crisi del 2009 in termini di spazio fiscale e ingenti tagli alla spesa sanitaria, appaiono come i meno preparati per affrontare sia l’epidemia che la ripresa. I tagli alla spesa sanitaria a seguito della Grande Recessione, in particolare nei paesi periferici, si affiancano a capacità di tenuta varie ma limitate nelle strutture sanitare. I posti letto in terapia intensiva spaziano tra i 9,7 per 100mila abitanti della Spagna, i 12,6 dell’Italia e i 29,2 della Germania. Sul fronte economico, la classifica rispecchia più la capacità di tenuta del settore sanitario che il numero di contagi e vittime. Quest’ultimo fotografa non solo il costo umano del Covid-19 ma anche l’intensità delle misure di contenimento necessarie e dei rispettivi costi per famiglie e imprese.
Non è poi solo e forse neppure principalmente una questione di ammontare delle risorse investite ma anche di qualità delle misure adottate. Conta la disomogeneità dei contesti socio economici (diverso peso del lavoro temporaneo e sommerso) e conta su quante e quali misure fiscali (dirette o garanzie di liquidità) si fa affidamento. Nel mercato del lavoro, pesa la predilezione per la tutela dell’occupazione (cassa integrazione e congelamento dei licenziamenti come in Italia) e sostegno alla disoccupazione (preferito per esempio in Spagna). L’aggravamento delle divergenze rappresenta una sfida per il precario equilibrio politico ed economico all’interno dell’Unione che va al di là dell’urgenza Covid: peggiorano le asimmetrie e si allungano le distanze tra gli interessi nazionali dei paesi membri, specialmente quando si guarda all’asse centro-periferia.
L’impatto del Covid-19 sul futuro dell’Europa
No, l’Unione non è stata immune alla pandemia. La crisi ha acceso i riflettori su fragilità e contraddizioni preesistenti della governance, esacerbate da una pressione senza precedenti. Al contempo, una crisi simmetrica – assimilabile a un disastro naturale – le cui responsabilità sono difficilmente attribuibili ai governi nazionali, è occasione perfetta perché si sviluppi solidarietà transnazionale: rende più accettabile l’adozione di politiche comuni e apre una finestra di opportunità per il rafforzamento dell’integrazione a partire dall’ambito fiscale e sanitario. Pur nei vincoli dei trattati e dei limitati strumenti comuni, l’occasione non è stata sprecata. In ambito sanitario, un esempio su tutti è lo sforzo congiunto per il vaccino SARS-Cov-2. Quanto al fisco, il difficile compromesso che ha portato a Next Generation EU, senza dubbio rappresenta una sospensione dei veti su debito comune e solidarietà transnazionale impensabile prima della pandemia.
Tuttavia, misure come SURE e NGEU, temporanee e soggette a contraddizioni e limiti strutturali dell’attuale assetto istituzionale, sono ancora lontane da essere un rimedio agli acciacchi dell’Unione economica e monetaria. Irrisolte restano, del resto, le divisioni politiche all’interno dell’Ue: è emerso in modo netto nelle negoziazioni per il bilancio pluriennale, con la minaccia di veto di Polonia e Ungheria. Le divergenze tra centro e periferie rafforzate dalla pandemia e l’esplosione dei debiti pubblici nazionali per finanziare la ripresa sono destinati a presentare sfide ulteriori per qualsiasi compromesso strutturale di lungo periodo. Sia Sure che NgEu, peraltro, sono state ingoiate da parte dei paesi frugali solo perché esplicitamente straordinarie e temporanee. Con il Covid-19 che continua ad affaticare l’Europa, il futuro dell’integrazione comunitaria è ancora da scrivere. Per questo l’urgenza di procedere rapidamente verso una riforma ambiziosa con una vera unione fiscale (federale), per fornire al vecchio continente gli strumenti necessari per far fronte alla sfida senza precedenti della ricostruzione post-pandemica, è ineludibile.