In molti paesi attraversati dall’emergenza coronavirus studiosi e ricercatori riconducibili alle scienze politiche e sociali stanno dando un contributo importante al dibattito pubblico e alle scelte delle istituzioni. In Italia no, purtroppo persiste un grave ritardo. Eppure mai come ora le scienze sociali e politiche possono rendersi utili, se mettono le proprie conoscenze (anche work in progress, non definitive) il prima possibile a disposizione di chi è responsabile delle decisioni politiche. Per questo NaspRead.eu lancia una call for papers agli esperti del settore, con l’obiettivo di incentivare e facilitare la cooperazione tra scienziati sociali e politici a servizio della collettività nella lotta contro il virus.
Pure il mondo dell’informazione è stato travolto dalla pandemia, rispondendo non sempre con la dovuta accuratezza. Così la redazione di NaspRead.eu ha deciso, fin quando l’emergenza in corso non sarà superata, di offrire ai suoi lettori una rassegna stampa a tema Covid-19, per farsi un’idea di come le scienze sociali e politiche stiano affrontando la situazione al di fuori del Belpaese.
Ci auguriamo che molti colleghi studiosi rispondano alla chiamata.
Nel frattempo, buona lettura!
Newsletter #3
- Buone intenzioni, risultati pericolosi. Immuni, l’app per tracciare i contatti con persone che poi risultano positive al Coronavirus, dovrebbe essere operativa – su base volontaria – entro fine maggio. L’ha ribadito la ministra dell’Innovazione Paola Pisano. Ma le polemiche sulla sua efficacia non accennano a placarsi, non solo per quanto riguarda la privacy degli utenti (questione che suscita dubbi in diversi studiosi in tutto il mondo). Jason Millar, dal Canada, illustra cinque motivi per cui un app del genere potrebbe peggiorare la situazione. Primo tra tutti, potrebbe farci abbassare la guardia.
- Infodemia e fame di notizie. La minaccia Covid-19 spinge a informarsi di più, per capire cosa succede e come proteggersi dal virus. Ma dove si cercano le notizie, e quali fonti sono ritenute più affidabili dai cittadini? Il Reuters Institute dell’Università di Oxford ha analizzato la situazione in sei Paesi – Argentina, Germania, Corea del Sud, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti – e, se gli scienziati ispirano affidabilità un po’ ovunque, per governi e media non si può dire la stessa cosa.
- Un virus etnico (per questioni sociali). Negli Usa, il Paese più colpito al mondo dal Coronavirus – con quasi un milione e mezzo di casi confermati e un numero di decessi che sfiora quota 90mila – è la comunità afroamericana a subire le perdite maggiori. Uno studio svolto in Georgia mostra che nell’area metropolitana di Atlanta, a fine aprile, oltre l’80 per cento dei ricoverati con Covid-19 aveva la pelle nera e oltre un quarto di questi pazienti non rientrerebbe tra le categorie a rischio per età o patologie preesistenti. Secondo un altro studio – che monitora 33 stati americani che forniscono dati sull’etnia dei malati – in due terzi dei casi i cittadini “di colore” sono più esposti al contagio. La maglia nera va al Winsconsin, dove i dati mostrano un rischio di contagio quattro volte superiore per un cittadino afroamericano, e un rischio di morte sei volte superiore rispetto a un concittadino bianco. La biologia non c’entra: sono le condizioni sociali e la diversa diffusione di politiche di prevenzione a generare questo quadro.
Newsletter #2
- Se sei donna è diverso, anche durante una pandemia. Il 70 per cento dei lavoratori in ambito sanitario – quelli in prima linea, a maggior rischio di contagio – è donna. Anche il lavoro di cura all’interno delle mura domestiche, più intenso a causa del lockdown imposto in questi giorni, è statisticamente affidato in prevalenza alle figure femminili all’interno delle famiglie. Ma tra chi prende decisioni su come affrontare la crisi, le donne sono pochissime. Un report delle Nazioni Unite mostra come anche un’epidemia virale può rivelarsi una questione di genere, suggerendo alcuni punti fondamentali per affrontare la situazione e garantire la salute di tutti anche in questo momento. Evitare il contagio da Covid-19 non basta: ci sono scelte sessuali e riproduttive da tutelare, così come le azioni in sostegno di chi subisce violenza domestica. Questioni delicate che rischiano – durante una pandemia – di finire dimenticate. Mentre le difficoltà che da esse derivano continuano a colpire milioni di donne.
- Il contributo della demografia nella battaglia contro il coronavirus. Le società più ricche sono quelle dove la gente vive più a lungo, ma anche quelle dove il nuovo coronavirus sta mietendo più vittime. In Italia oltre il 23 per cento della popolazione ha più di 65 anni, in Cina la percentuale si ferma a quota 12. Anche le abitudini fanno la differenza. Nel nostro paese le interazioni tra diverse fasce d’età – con figli adulti che vivono in casa dei genitori e nipoti minorenni che vengono curati dai nonni – sono all’ordine del giorno, all’estero sono meno frequenti. Per questo la struttura demografica dei paesi dovrebbe ricoprire un ruolo cruciale nel contenimento del virus, suggerendo come aggiustare le misure di sicurezza in base all’età.
- Cosa ci hanno insegnato i conflitti mondiali /2. Contro il coronavirus siamo in guerra, lo si sente ripetere di continuo. Se è così, allora, dalle guerre mondiali qualche lezione dovremmo averla imparata. Quatto storici anglosassoni ci rinfrescano le idee. A partire da qui: “Durante la Prima guerra mondiale, tutti gli Alleati hanno dovuto far fronte alla mancanza di grano. Invece di collaborare e coordinare I propri bisogni, hanno piazzato ordini diversi sullo stesso mercato. Non sorprende che questa situazione sia sfociata in prezzi maggiorati e ulteriore carenza di scorte. Solo dopo due anni di battaglia e ulteriore carestia, gli Alleati si sono convinti a unire le forze per condividere le informazioni e coordinare i rifornimenti. Spero che non ci vogliano due anni prima che I Paesi del mondo si riuniscano per coordinare gli acquisti di medicinali, apparecchiature, vaccini e terapie”, sostiene Rosella Cappella Zielinski della Boston University.
- Il mostro ha bussato alla porta degli Stati Uniti. Il coronavirus è arrivato negli Usa, nonostante le iniziali previsioni rosee del presidente Donald Trump, e ha già mietuto 16mila vittime. Il solo stato di New York fa registrare più contagi ufficiali di qualsiasi nazione al mondo (esclusi gli Usa). Hart Island, lo scoglio a est del Bronx, torna a essere “l’isola dei morti”, con i carcerati newyorkesi che lavorano senza sosta per seppellire in fosse comuni le salme che non sono state reclamate nelle ultime due settimane. Ma quanto può reggere la globalizzazione capitalista se non si crea una struttura per la sanità pubblica che sia altrettanto internazionale? Ne scrive il sociologo urbano Mike Davis. Intanto, a pagare il prezzo più alto sono le periferie della Grande Mela, popolate da chi resta escluso dal sistema sanitario a stelle e strisce.
- Il virus bada al portafoglio. Restare a casa per combattere il coronavirus è un lusso che non tutti si possono permettere. Il New York Times ha incrociato i dati sulla mobilità negli Stati Uniti con la situazione economica delle diverse aree del paese. Sono i più ricchi a poter rispettare senza grosse ripercussioni sui loro standard di vita le limitazioni imposte dal distanziamento sociale, risultando così meno esposti al rischio di contagio.
Newsletter #1
- La forza dei legami deboli (e un pizzico di panico). Il contagio corre veloce, soprattutto attraverso le interazioni occasionali. Legami deboli, ma che si moltiplicano in fretta. E le campagne di prevenzione dovrebbero funzionare allo stesso modo, sfruttando anche la capillarità dei social network per far sì che una modifica delle abitudini in tutta la popolazione – l’unico modo concreto per contenere la diffusione del virus – non si riveli un processo troppo lento per essere efficace. Così anche una piccola dose di panico, se orientata nel modo giusto, può favorire il cambiamento.
- La scienza della quarantena. Le restrizioni ai viaggi internazionali non sono la soluzione, se le abitudini dei (non più) passeggeri non cambiano.
- Cosa ci ha insegnato la Seconda guerra mondiale. Abbattere la curva dei contagi avrà ripercussioni molto serie se non coinciderà con un’espansione della capacità dei sistemi sanitari. Per questo dovremmo rispolverare qualche lezione che conosce bene chi era già grandicello durante il secondo conflitto mondiale.
La redazione di NaspRead.eu