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Dell’impegno dei contingenti militari italiani all’estero si parla poco. Spesso, purtroppo, in coincidenza con eventi drammatici. In realtà, dalla fine della Guerra Fredda, il contributo dell’Italia a interventi militari è stato straordinario. Le truppe italiane sono state coinvolte in tutte le principali aree di crisi internazionali: dal Kosovo all’Afghanistan, dalla Iraq alla Libia. Dal 2006, l’Italia è il primo paese in Europa in termini di unità fornite alle missioni di peacekeeping dell’ONU. La consistente presenza in queste missioni all’estero è ancora più sorprendente se si considera la cultura pacifista che permea la politica e la società italiana.
Diversi studi si sono concentrati sulla spiegazione di questo sviluppo della politica estera e di difesa dell’Italia. La volontà da parte dei governi di presentare il Paese come un partner affidabile agli occhi degli Stati Uniti e delle principali organizzazioni internazionali (Onu, Nato e Unione Europea) è stato certamente un fattore decisivo. Inoltre, il fatto che queste operazioni avessero una più o meno evidente dimensione umanitaria le rendeva giustificabili alla luce dell’articolo 11 della Costituzione, che esprime una ferma condanna alla guerra come metodo di risoluzione delle dispute internazionali.
Tuttavia, anche il supporto dei principali partiti politici al governo e in Parlamento è stato fondamentale. Ma quanto era solido questo consenso? Perché i partiti sostenevano le operazioni militari o vi si opponevano? Utilizzando come dati i discorsi e i voti parlamentari, due studi – pubblicati in prestigiose riviste internazionali– cercano di spiegarlo.
Se sei moderato voti sì
Innanzitutto, la posizione ideologica ha avuto un impatto significativo sulle preferenze dei partiti. Si è andato infatti formando un consenso centrista e bipartisan sulle missioni all’estero. Modelli di regressione lineare che utilizzano il grado di sostegno alle missioni ricavato dall’analisi dei discorsi parlamentari alla Camera dei Deputati mostrano che l’appoggio all’invio di truppe segue un andamento a campana sull’asse sinistra-destra (Figura 1). Più sei moderato, più sei “interventista”. Questo risultato è perfettamente in linea con quello di altri paesi europei. La spiegazione del divario può risiedere nella necessità dei partiti centristi di presentarsi all’estero come attori di governo responsabili e, d’altro canto, nella possibilità dei partiti più radicali di cavalcare una posizione pacifista che può attirare maggiore simpatia nell’opinione pubblica.
La pace piace a sinistra
L’analisi disaggregata per partiti di 27 voti chiave tra Camera e Senato fornisce ulteriore evidenza empirica a favore di questa ipotesi e aggiunge una sfumatura (Figura 2). L’opposizione alle missioni è stata molto più forte a estrema sinistra che a estrema destra: i partiti comunisti (Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani) hanno votato raramente a favore delle missioni, mentre Alleanza Nazionale è stata uno dei principali “falchi” all’interno del parlamento e la Lega Nord è stata solo leggermente più critica.
Le missioni piacciono a chi governa
Il fattore davvero cruciale per spiegare il sostegno di un partito alle missioni all’estero è tuttavia la sua collocazione la governo o all’opposizione. Le formazioni politiche che facevano parte dell’esecutivo tendenzialmente erano a favore delle operazioni. Ciò si spiega con il fatto che sono gli stessi esecutivi a prendere le decisioni per i dispiegamenti di truppe e che i partiti che li compongono non hanno interesse a minare la solidità della coalizione, peraltro per un tema spesso percepito come marginale dall’elettorato. La correlazione positiva tra presenza al governo e le posizioni favorevoli all’intervento così come emergono dai discorsi parlamentari è molto forte. Essere partiti al governo è associato mediamente a un livello di sostegno alla missione all’estero circa due volte e mezzo superiore rispetto al livello di sostegno manifestato dai partiti all’opposizione (Figura 3).
Destra compatta, sinistra variabile
L’analisi dei voti chiave divisi per coalizione di governo ribadisce l’impatto di questa variabile (Figure 4 e 5). Fornisce altri due spunti interessanti: in primo luogo, i partiti di centro-destra erano più propensi a supportare le missioni approvate dai governi di centro-sinistra di quanto lo fossero i partiti di centro-sinistra a parti invertite; in secondo luogo, mentre i partiti di estrema sinistra occasionalmente si sono sfilati dall’esecutivo del quale facevano parte o che sostenevano in Parlamento, la Lega Nord non lo ha praticamente mai fatto. Questo dimostra che per i partiti di sinistra radicale l’opposizione ai conflitti militari era un tema assai più saliente rispetto al Carroccio.
I risultati dei voti parlamentari sulle missioni in Alba (Albania 1997) e Antica Babilonia (Iraq, 2003) sono buoni esempi del conflitto tra partiti moderati ed estremi e dell’impatto differenziato dell’appartenenza al governo su quest’ultimi. Nel primo caso, l’allora governo di centro-sinistra fu infatti “tradito” dall’antimilitarismo di Rifondazione e salvato dall’appoggio di Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma non della Lega. Nel secondo caso, il Carroccio fornì il suo supporto all’esecutivo di centro-destra del quale faceva parte, mentre nell’opposizione i Democratici di Sinistra si astennero e la sinistra radicale espresse un deciso “no” all’operazione.
Sinistra multilaterale, destra bilaterale
Oltre alla posizione ideologica e a dinamiche di competizione tra partiti, anche le caratteristiche delle singole missioni hanno avuto un impatto sulle preferenze al momento del voto. L’analisi dei discorsi evidenzia come le missioni con una forte legittimazione internazionale (linea rossa nel grafico), data dall’approvazione di una specifica risoluzione del consiglio di sicurezza ONU, tendevano a essere più apprezzate dai partiti di centro-sinistra e meno da quelli di centro-destra (Figura 6). Questo risultato porta acqua al mulino di quegli analisti che hanno evidenziato una discontinuità tra esecutivi di centro-sinistra e centro-destra nell’approccio alla politica estera: i primi più multilateralisti, i secondi più concentrati sulle relazioni bilaterali.
Nemici in patria, amici al fronte
Tali differenze vanno inserite comunque in un quadro generale di forte appoggio dei partiti alle operazioni militari all’estero. Estendendo il numero dei voti analizzati anche ai rifinanziamenti semestrali e a missioni meno rilevanti e controverse, il grado di consenso raggiunge una media di circa l’80 per cento di “sì”. Insomma, l’opposizione alle missioni è arrivata spesso da partiti con un peso parlamentare inferiore e collocati agli estremi dell’asse sinistra-destra. I partiti politici principali, quelli che si presentavano come acerrimi rivali nello scontro politico, hanno fatto fronte comune su queste missioni “di pace”. Che troppo di pace non erano e non lo sono tuttora.