Link all'articolo scientifico: Camilla Mariotto "Negotiating implementation of EU fiscal governance", Journal of European Integration, Volume 41, 2019 - Issue 4
Dall’entrata in vigore del Patto di stabilità e crescita nel 1997 – cioè quell’accordo tra paesi europei che stabilisce parametri di bilancio che ognuno deve rispettare per garantire la tenuta economica di tutta l’Unione – Commissione e Consiglio hanno preparato ogni anno i “compiti a casa” da richiedere ai singoli stati . L’emergenza sanitaria ha cambiato le carte in tavola. Per la prima volta nella storia la Commissione europea ha deciso di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità: gli stati ora sono autorizzati a superare i limiti imposti dal Patto senza il rischio di raccomandazioni correttive o sanzioni. Tuttavia la deroga non durerà per sempre. Prima o poi gli stati dell’Unione Europea potrebbero essere costretti a tornare al regime ordinario. Quale delle due istituzioni comunitarie, Commissione e Consiglio, si è dimostrata negli anni più severa? Quali nazioni hanno subito i “castighi” più duri? Uno studio condotto alla Statale di Milano mostra in dettaglio com’era la situazione prima che il mondo fosse sconvolto dal Covid-19 e offre spunti per immaginare che cosa potrebbe succedere quando passerà l’emergenza legata alla pandemia.
Come funziona il Patto di stabilità
Di norma, ogni stato membro deve inviare entro aprile i propri programmi macroeconomici – programmi triennali di stabilità o convergenza, a seconda che il paese aderisca o meno alla moneta unica – alla Commissione europea. Quest’ultima è l’istituzione sovranazionale con poteri esecutivi e di controllo: è composta da 27 commissari, uno per ogni stato membro, che agiscono in totale autonomia e indipendenza dai governi nazionali che li hanno indicati. A maggio risponde a ogni singolo governo con delle raccomandazioni, note in gergo come country-specific recommendation (Csr), affinché uniformino i propri programmi agli standard comunitari. Sei anni fa, per esempio, la Commissione richiese all’Italia di “rafforzare le misure di bilancio alla luce dell’emergere di uno scarto rispetto ai requisiti del Patto di stabilità e crescita, in particolare alla regola della riduzione del debito, stando alle previsioni di primavera 2014”.
Il Consiglio, che è un’istituzione intergovernativa composta da un rappresentante ministeriale per ciascun stato membro, ha il compito di adottare entro luglio tali raccomandazioni. Non è però obbligato a seguire pedissequamente le indicazioni della Commissione: le può modificare, rafforzandole o attenuandole. Nel caso menzionato il Consiglio rafforzò la raccomandazione e chiese all’Italia, in aggiunta, di “garantire progressi verso l’obiettivo a medio termine” (cioè il valore di riferimento del deficit strutturale che ciascun paese deve raggiungere).
Il regolamento preventivo originario del Patto di stabilità indicava come oggetto d’attenzione da parte delle istituzioni europee le sole politiche fiscali. Contavano le regole sul debito pubblico, che doveva essere inferiore al 60 percento del Pil nazionale. In parallelo si monitorava il deficit – vale a dire la differenza tra entrate e uscite, comprese le spese per interessi – accettabile se inferiore al 3 percento del Pil. Le riforme del 2005 e del 2011 – all’interno di un pacchetto legislativo più ampio e articolato, denominato six pack – hanno esteso l’ambito d’analisi alle politiche che prevengono gli squilibri macroeconomici e garantiscono la stabilità del mercato finanziario attraverso il sostegno a riforme strutturali in grado di incentivare la crescita occupazionale e rilanciare gli investimenti La riforma del 2011, poi, ha incluso sia il criterio del deficit sia il criterio del debito (prima ignorato) come criteri necessari ad avviare la procedura per deficit eccessivo.
Gli stati membri dovrebbero seguire le raccomandazioni della Commissione in autunno, quando approntano la stesura della legge di bilancio per l’anno successivo. Questo ciclo di valutazione, che permette di rafforzare la sorveglianza europea e di coordinare le politiche economiche nazionali, è conosciuto come “semestre europeo” (in vigore dal 2011).
Guardando alla magnitudine e natura delle modifiche approntate dal Consiglio nelle raccomandazioni indirizzate ai singoli stati dell’Ue, si può provare a capire come siano evolute le riforme fiscali del 2005, del 2011 e del 2013, anche in risposta alla crisi del debito sovrano.
Come era facile prevedere sono i paesi fiscalmente più virtuosi, seppur più piccoli – Lussemburgo, Olanda, Finlandia, Estonia e Danimarca – a ricevere in media il minor numero di raccomandazioni dalle istituzioni europee, sia prima sia dopo la riforma del 2011. Al contrario, i paesi mediterranei, tradizionalmente con un debito pubblico elevato – Italia, Portogallo, Grecia e Spagna (quest’ultima solo dal 2011) – sono i destinatari del maggior numero (vedi Figura 1).

Un Consiglio intransigente
Quanto alle negoziazioni ci si potrebbe aspettare che il Consiglio, essendo un’istituzione intergovernativa, sia più sensibile alle pressioni dei governi nazionali, quindi meno intransigente rispetto alla Commissione. Non è così. Il Consiglio si rivela più severo del previsto: in quasi la metà delle raccomandazioni specifiche per paese (187 su 376) ha richiesto maggiori sforzi nelle politiche fiscali e macroeconomiche. Solo il 12,5 per cento delle raccomandazioni della Commissione vengono mitigate e più di un terzo (37,6%) sono lasciate inalterate. La figura 2 mostra le percentuali di raccomandazioni che il Consiglio ha rafforzato, indebolito o riconfermato rispetto a quanto deciso dalla Commissione. In quattro anni soltanto (1999, 2000, 2002 e 2006) il Consiglio ha avuto un atteggiamento più indulgente della Commissione (vedi Figura 2a). Nel 2010, in piena crisi economico-finanziaria, il Consiglio è arrivato a chiedere agli stati misure più stringenti rispetto alle raccomandazioni della Commissione in 8 casi su 10.
Gli stati non sono stati tutti penalizzati nella stessa misura. Sono i paesi fiscalmente più virtuosi o grandi – Germania, Regno Unito, Svezia, Francia, Belgio, Italia e Estonia – ad avere il maggior numero di raccomandazioni mitigate dal Consiglio dell’Ue. Per Grecia e Cipro, al contrario il Consiglio tende ad adottare una posizione più severa rispetto alla Commissione (vedi Figura 2.b).

I Paesi più grandi contano di più
Che cosa spinge il Consiglio ad agire con severità o indulgenza? L’analisi empirica mostra che i paesi più grandi possono trarre beneficio dal maggior peso nel voto in seno al Consiglio.[1] È quindi più probabile che il Consiglio indebolisca, piuttosto che rafforzare, le raccomandazioni indirizzate ai paesi più popolosi. La Germania ha una probabilità del 13,4 per cento di ricevere raccomandazioni più miti contro il 9 per cento del Lussemburgo, che è uno dei Paesi più piccoli insieme a Malta. Questo accade perché Berlino riesce a formare con maggior facilità una coalizione di stati in Consiglio a suo favore.
È il debito a fare la differenza
La Commissione e il Consiglio, inoltre, concordano nel penalizzare gli stati con un debito superiore al 60 per cento del Pil. Sorprendentemente, il Consiglio dimostra in questo caso di essere ancora più intransigente nel periodo precedente la riforma del 2011. Si pensi alla Grecia, che nel era 2010 il paese più indebitato (con un rapporto debito/Pil superiore al 146%) e all’Estonia, che nel 2007 aveva il rapporto più basso (pari a meno del 7 e mezzo per cento). Nello stesso periodo Atene aveva 41,3 punti percentuali in più di probabilità di ricevere raccomandazioni rafforzate dal Consiglio rispetto a Tallinn.
Un ragionamento a ritroso può chiarire la dinamica. Prima della riforma del 2011 l’unico criterio preso in considerazione per l’apertura della procedura di deficit eccessivo (braccio correttivo del Patto di stabilità e crescita) era lo sforamento del 3 per cento deficit/Pil, mentre il debito veniva ampiamente ignorato. Sulla base di quest’unico criterio, è quindi probabile che la Commissione e il Consiglio fossero meno flessibili nella fase preventiva per scongiurare un indebitamento su cui non avrebbero avuto possibilità di intervento.
Negli anni più acuti della crisi economica (2009-2013), la paura di disintegrazione dell’Unione (e di contagio quanto a brutte abitudini economico-finanziarie) ha spinto il Consiglio a essere molto più attivo. I governi nazionali – fondamentalmente istituzioni politiche, non possono ignorare i pericoli della crisi del debito sovrano e sono obbligati a seguire e a rafforzare le raccomandazioni proposte dalla Commissione. Lo studio mostra che dal 2010 al 2015 la probabilità di richiedere misure politiche più austere da parte del Consiglio è aumentata, passando dal 10 al 31 per cento.
[1] Quando il Consiglio vota una proposta della Commissione, si raggiunge la maggioranza qualificata se sono soddisfatti tre criteri: a) il 55% degli Stati membri vota a favore, b) gli stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell'UE, c) gli stati membri che appoggiano la proposta raggiungono 255 su 345 voti (ogni stato ha un peso di voto dipendente dalla popolazione e varia da 29 voti – Germania – a 3 voti – Malta). Quest’ultimo criterio non è più in vigore dal 31 marzo 2017.