Link all’articolo scientifico:
- Cassani, A. e Tomini, L. “Oltre il trend illiberale. I processi di autocratizzazione nel XXI secolo”, Quaderni di Scienza Politica 2-3/2020, pp. 183-206.
A più di un anno da quando l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) dichiarò che il Covid-19 era pandemico, il mondo della politica e della ricerca sono impegnati nell’analisi dei danni – economici, sociali e non solo – della crisi sanitaria. Tra le conseguenze della pandemia bisogna contare anche le possibili ripercussioni sulla sfera politica stessa, in particolare sul futuro della democrazia. Da tempo si parla di un trend illiberale e del rischio di una deriva autoritaria globale. Quali effetti avrà la pandemia sulla stabilità dei regimi democratici contemporanei? Darà nuovo slancio all’ondata di autocratizzazione in corso o potrebbe invece rappresentare un’occasione di rilancio per la democrazia nel mondo? È presto per offrire risposte esaurienti a domande simili, ma è già possibile riflettere sulle sfide a cui la democrazia andrà incontro a pandemia finita.
Lockdown diffusi e elezioni rinviate: conseguenze di breve e di lungo periodo
Per analizzare le conseguenze della pandemia sul futuro della democrazia, bisogna distinguere tra effetti di breve e di medio/lungo periodo. Tra i primi, alcuni li abbiamo sperimentati in prima persona. I lockdown rappresentano per definizione una limitazione delle libertà civili e politiche normalmente garantite ai cittadini di paesi democratici. Si pensi alla libertà di muoversi, di riunirsi e di manifestare, o alla nostra privacy, a cui le tecnologie per il tracciamento dei contagi hanno chiesto – almeno in parte – di rinunciare. I parlamenti di molti paesi hanno subito un depotenziamento in questi mesi: in nome della necessità dei governi di prendere decisioni urgenti, ma a scapito della capacità di controllo da parte dei rappresentati dei cittadini sull’operato di chi i cittadini li governa. Infine, sono effetti di breve periodo i rinvii delle elezioni avvenuti in alcuni paesi, e con essi della possibilità per i cittadini di scegliere i propri governanti.
Se queste deroghe al normale funzionamento della democrazia sono giustificate (o giustificabili) dal fatto che ci troviamo in uno “stato di emergenza”, è pur vero che le norme internazionali richiedono che le misure adottate siano “proporzionate, necessarie e non-discriminatorie” (Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, articolo 4). Uno studio condotto nei mesi precedenti all’arrivo del Covid mostra come in passato lo stato di emergenza abbia spesso offerto l’opportunità ai leader politici per espandere il loro potere e ridurre più del necessario i controlli a esso.
Quando democrazia non fa rima con pandemia
Il rischio che la pandemia potesse avere conseguenze simili ha messo in allerta alcuni tra i più importanti centri di studio sulla democrazia: Freedom House, IDEA, Varieties of Democracy e Economist Intelligence Unit. I risultati del loro monitoraggio indicano un generale declino del livello di democrazia nel corso del 2020, ma anche che esso risulta da abusi di potere che si sono verificati per lo più in paesi per nulla o poco democratici già prima della pandemia. Le principali problematiche registrate riguardano la libertà di stampa – con il pretesto di limitare la diffusione di fake news sul virus e sulla gestione della crisi sanitaria – e le misure di sicurezza per il contenimento del virus, spesso applicate discriminando alcune minoranze.
Il coronavirus è destinato ad avere ripercussioni anche a lungo termine sulla stabilità dei paesi democratici. La principale sfida sarà infatti ripristinare il normale funzionamento della democrazia all’indomani della crisi sanitaria globale. A pandemia ancora in corso, ogni considerazione sul futuro rischia di apparire astratta. Un riesame della letteratura sui regimi politici mette però in evidenza alcuni fattori – cinque in particolare – che permettono di tracciare possibili scenari futuri.
Il contesto: sviluppo, democrazie difettose e attori politici antidemocratici
Alcune caratteristiche aiutano a inquadrare le condizioni di partenza in cui i paesi democratici si trovavano allo scoppio della pandemia (ovvero all’inizio del 2020) e quindi a individuare i soggetti più a rischio di una deriva autoritaria post-pandemica. Ricostruire il contesto è importante perché l’intensità dell’impatto di una crisi (sanitaria o di altra natura) sulla stabilità di un regime politico può variare di molto a seconda di dove essa si verifica.
Il cosiddetto “paradigma della modernizzazione” richiama l’attenzione sul livello di sviluppo di un paese: non solo in senso strettamente economico, anche rispetto a quanto la ricchezza si traduce in un effettivo miglioramento delle condizioni di vita per ampie fasce della popolazione. Nelle società benestanti tendono a diffondersi sentimenti favorevoli alla sopravvivenza della democrazia: moderazione, disponibilità al confronto, fiducia interpersonale e nelle istituzioni, e una maggiore sensibilità rispetto ai diritti civili e politici. Impoverimento e crescita delle disuguaglianze, al contrario, aumentano la polarizzazione sociale e politica e l’attrattiva di forme di governo alternative alla democrazia, anche a costo di rinunciare alle libertà di cui si gode.
Un secondo fattore utile a delineare il contesto pre-pandemia è la qualità della democrazia e il suo livello di consolidamento. Uno studio recente sui processi di autocratizzazione – che portano, cioè, alla fine della democrazia e all’instaurazione di un’autocrazia – individua nelle cosiddette democrazie “difettose” i principali candidati a sperimentare uno scivolamento in direzione autoritaria. Per democrazie difettose si intendono quei paesi in cui, pur svolgendosi le elezioni in maniera sufficientemente libera e corretta, i confini entro cui il potere di governo viene esercitato sono vaghi, quindi più facilmente violabili. Sono, di solito, democrazie giovani. Quelle più avanzate e consolidate, al contrario, si sono finora mostrate stabili o comunque in possesso degli anticorpi necessari a respingere le minacce.
Il terzo fattore da considerare riguarda gli attori presenti nell’arena politica di un paese e le loro preferenze. Il ruolo della cosiddetta “agency” è stato sottolineato nell’analisi delle transizioni democratiche dell’ultima parte del XX secolo e sarà determinante anche nelle transizioni in direzione opposta, ovvero verso l’autocrazia. In questo caso, è importante soprattutto verificare la presenza di partiti e leader politici “antidemocratici”, indipendentemente dal loro colore politico. Antidemocratici non sono solo quegli attori politici che mirano apertamente a instaurare un sistema di governo alternativo alla democrazia, ma anche quelli la cui agenda politica viola nella pratica (o mette implicitamente in discussione) alcuni dei principi che regolano il funzionamento di un regime democratico, pur dichiarandosi talvolta sostenitori di una forma più pura o diretta di democrazia. Tra i principi minati da questi attori, per esempio, c’è l’idea che l’investitura popolare non legittimi un governo a sfuggire al controllo e alla critica da parte di altri organi istituzionali, delle opposizioni e dei media, o ad agire a discapito delle minoranze.
I soggetti che più rischiano uno scivolamento verso l’autoritarismo all’indomani della pandemia possono essere identificati in quei paesi che, all’inizio del 2020, presentavano una (o più) di queste caratteristiche: basso livello di sviluppo, una forma difettosa di democrazia, presenza di forze politiche antidemocratiche. Per essere chiari: corrispondere a questo identikit non significa andare incontro a un destino inesorabile, così come non riconoscervisi non significa necessariamente che la democrazia sia al sicuro. Questo perché, oltre alle condizioni di partenza finora esaminate, almeno altri due fattori di natura contingente possono giocare un ruolo decisivo.
Da Orbán a Trump, non sempre le minacce stanno all’opposizione
Oltre alla presenza di forze politiche antidemocratiche all’interno di un paese, bisogna valutare se esse si trovano all’opposizione o al governo. Sarebbe inaccurato assumere che questi attori siano all’opposizione. Per quanto possa apparire contradditorio, un paese democratico può essere governato da leader antidemocratici. Ricadono in questa definizione capi di governo tra loro molto diversi come Viktor Orbán, aperto promotore di una democrazia “illiberale” in Ungheria, Rodrigo Duterte – condottiero di una crociata contro la criminalità nelle Filippine che ha portato numerose violazioni dei diritti umani – e Donald Trump, che nel corso del suo mandato ha mostrato simpatie per movimenti politici apertamente antisistema e scarso rispetto delle “regole del gioco” del sistema politico statunitense. A seconda della posizione occupata dalle forze antidemocratiche all’interno dell’arena politica, cambia il tipo di minaccia che esse possono rappresentare per la sopravvivenza della democrazia in un paese.
La gestione della crisi, tra successi e tragedie
Infine, dobbiamo considerare proprio la pandemia da Covid-19. Più precisamente, la sua gestione. Per semplicità, ci limiteremo a distinguere tra una gestione fallimentare e una efficace, ovvero il caso in cui le autorità si siano dimostrate in grado di contenere i danni, sia a livello sanitario che socioeconomico. Se infatti una crisi come la pandemia attuale rappresenta una minaccia alla stabilità politica di un paese democratico (e non solo), è pur vero che le sue conseguenze saranno diverse a seconda dell’esito di questa crisi. In generale, una gestione efficace di un momento di difficoltà rafforza chi sta al governo, mentre un fallimento rafforza l’opposizione.
Dall’incrocio di questi fattori emergono due possibili scenari di autocratizzazione post-pandemica. Il primo è il caso di un paese governato da un leader antidemocratico che si dimostra capace di contenere i danni della pandemia. Il successo nella gestione pandemica rafforzerebbe la legittimità del governo in carica e offrirebbe l’opportunità per consolidare l’espansione del potere esecutivo e alcune delle limitazioni alle libertà operate nel corso dell’emergenza. Il secondo è il caso di un paese che subisce molti danni a causa della pandemia e in cui sono presenti forze antidemocratiche all’opposizione. In tale circostanza, queste forze potrebbero guadagnare consensi attaccando l’inadeguatezza non solo dei partiti e dei politici al governo, ma anche delle istituzioni da essi rappresentate.
La pandemia come opportunità
Eppure la pandemia potrebbe creare anche opportunità per il rafforzamento delle istituzioni democratiche in alcuni paesi. Una gestione efficace della pandemia da parte delle autorità contribuirebbe a marginalizzare le forze politiche antidemocratiche che si trovano all’opposizione, per esempio. Soprattutto, una gestione poco risoluta della pandemia da parte di governi presieduti da leader antidemocratici aumenterebbe la probabilità di una loro cacciata. Ecco una chiave di lettura per la recente sconfitta elettorale di Trump negli Stati Uniti (che, tuttavia, di certo non rappresentavano uno dei paesi più a rischio di una deriva autoritaria post-pandemica).